martedì 1 maggio 2012

Cambieresti (parte 7) - Alimentazione

ORGANISMI TRANSGENICI*
* con la collaborazione di Gianni Tamino,
Professore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e membro del gruppo di lavoro sugli OGM del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali


Un organismo transgenico è un essere vivente nel cui DNA sono stati inseriti dei geni estranei al suo patrimonio genetico, con tecniche di ingegneria genetica (cioè “tagliando” con speciali enzimi frammenti di DNA di un organismo e “incollandoli” con altri enzimi nel DNA di un organismo diverso). I geni possono essere considerati come veicoli di informazione strutturata, utilizzabili dalla cellula per reagire agli stimoli provenienti dal corpo e, più in generale, dall’ambiente. L’idea che sta alla base della produzione degli organismi transgenici è che se manipoliamo e inseriamo deliberatamente delle nuove e precise informazioni, per esempio nel corredo genetico di una
pianta, allora questa inizierà a reagire agli stimoli ambientali in modo diverso da come siamo abituati ad osservare; potrebbe dare dei frutti più resistenti al freddo di quelli generati da piante non modificate, oppure capaci di conservare un’elasticità dei tessuti migliore rispetto ai prodotti
tradizionali e marcire, quindi, più lentamente. Le informazioni che inseriamo nell’individuo ospite possono provenire dalla stessa specie e/o da specie affini oppure da specie e regni diversi. In ogni caso, gli organismi che si ottengono esprimeranno delle caratteristiche che non sarebbe possibile osservare in individui ottenuti con i tradizionali metodi di selezione e incrocio. Le passate tecniche di produzione, infatti, erano limitate ad intervenire su specie e varietà che, dopo l’incrocio, risultavano capaci di manifestare in modo più netto le proprie qualità e/o di
ridurre l’espressione di altre caratteristiche, giudicate dannose o poco utili; se la tecnica per ottenere tali risultati era quella dell’incrocio, il confine delle possibilità di cui si doveva tener conto era quello dell’affinità tra specie: non si potevano incrociare specie troppo diverse tra loro e, soprattutto, non era possibile far esprimere ad un rappresentante del regno vegetale le qualità di un esponente del mondo animale. Un Organismo Transgenico, invece, è capace di sviluppare qualità proprie di specie e regni del tutto diversi da quello da cui proviene.
Quali sono, a cosa servono e in che alimenti si possono trovare gli organismi transgenici?
Sebbene la lista degli organismi transgenici commercializzati o in sperimentazione sia molto lunga, le specie diffuse nel mondo a scopo alimentare (sia per produrre cibi umani o mangimi) sono sostanzialmente 5: mais, soia, colza, cotone e le colture di lieviti, largamente
usati nell’industria di trasformazione.
Attualmente in Europa possono essere commercializzati prodotti alimentari che derivano da 16 Organismi Transgenici: 1 varietà di soia, 1 varietà di mais, i derivati di 7 varietà di colza e di 4 varietà di mais, gli olii derivati da due varietà di cotone e i cibi o i mangimi che contengono
Vitamina B2 ottenuta dalle colture di un batterio Transgenico, il Bacillus subtilis.
A cosa servono le modifiche indotte?
Nel 1992, il Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani della Food and Drug Administration - l’organismo responsabile della qualità degli alimenti messi in commercio negli Stati Uniti - esprimeva il suo parere favorevole all’immissione nel mercato statunitense di organismi
transgenici vegetali. La risposta alla nostra domanda è contenuta in un passo dello scritto con cui quell’opinione venne resa pubblica: “...i caratteri” [da sempre ricercati in agricoltura] “possono essere grossolanamente suddivisi in due categorie: quelli che riguardano le caratteristiche agronomiche della pianta e quelli che riguardano le caratteristiche dell’alimento. Le caratteristiche agronomiche sono quelle che riguardano i raccolti: la resistenza alle malattie, agli insetti e agli erbicidi; l’abilità di crescere in varie condizioni ambientali avverse. Le caratteristiche dell’alimento includono quelle che riguardano i processi di preparazione, il nutrimento, il sapore.
Le tecniche di DNA ricombinante [tecniche con cui si ottengono gli Organismi Transgenici, nda] sono usate per raggiungere gli stessi scopi delle tecniche tradizionali…”
Le piante transgeniche, dunque, vengono prodotte per due scopi:
• migliorare le rese dei raccolti;
• migliorare lavorabilità, potere nutrizionale e qualità organolettiche dei prodotti.
È importante sottolineare come questa definizione di utilità non abbia perso valore a distanza di 13 anni e possa essere utilizzata anche per gli Organismi Transgenici coltivati fuori dagli Stati Uniti; delle 16 varietà commercializzate in Europa, 15 (tutti i vegetali) sono state manipolate per
raggiungere il primo obiettivo, aumentando la loro protezione all’aggressione degli insetti e/o inducendo una certa tolleranza a determinati erbicidi (NB il ragionamento un po’ semplicistico è: meno piante rovinate dagli insetti e meno concorrenza con le malerbe = più piante raccolte).
Si può ben capire come i primi consumatori di tali prodotti non siano gli esseri umani, ma il bestiame da allevamento. Mais, soia, colza, semi di cotone, vitamina B2 sono tutti ingredienti dei mangimi impiegati nell’industria zootecnica. Ciò detto, non dobbiamo dimenticare che una percentuale dei frutti delle colture transgeniche viene sicuramente destinata anche all’alimentazione umana. I prodotti che giungono sugli scaffali dei supermercati si possono
presentare sotto diverse forme. Non esiste una lista di tutti i preparati contenenti organismi transgenici; per questo motivo proponiamo un piccolo elenco a puro scopo esemplificativo
di prodotti che possono contenere OT:
• salsa di soia;
• tofu;
• bevande di soia;
• olio di soia;
• lecitina di soia - la lecitina è largamente utilizzata in pasticceria e nell’industria alimentare come emulsionante;
• farine di mais;
• sciroppo e zucchero di mais - e quindi dolciumi e bibite analcoliche che li contengono -, olio di semi di mais;
• cibi cotti o preparati (patatine, snacks etc) con l’olio di colza, l’olio di mais, l’olio di soia o l’olio di cotone (in Italia il cotone e i suoi derivati non possono essere utilizzati a scopo alimentare);
• margarine e grassi di pasticceria derivati dagli olii elencati.
È possibile riconoscere un alimento derivante da OT? Il regolamento CE n. 1830/2003 del Parlamento e del Consiglio Europeo concernente la tracciabilità e l’etichettatura
degli alimenti transgenici prescrive che sulle etichette dei prodotti alimentari, per ciascun ingrediente elencato, debba figurare l’indicazione “Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati” o “Questo prodotto contiene [nome dell’organismo o degli organismi]
geneticamente modificato[i)” qualora la percentuale di organismo(i) transgenico sia superiore allo 0,9% e non possa esserne dimostrato il carattere accidentale e tecnicamente inevitabile. È ammessa, inoltre, per ogni ingrediente, la presenza dello 0,55% di organismi transgenici
NON approvati dalla Commissione purché se ne possa dimostrare il carattere accidentale ed inevitabile.
Le stesse norme si applicano agli alimenti destinati agli animali. Il regolamento non prescrive che siano etichettati come prodotti transgenici carne, latte o uova ottenuti da animali nutriti con mangimi transgenici o trattati con farmaci derivati da organismi transgenici. Di fatto sono pochissimi, per non dire quasi nessuno, i prodotti etichettati come contenenti OGM: finora in Italia sono stati messi sul mercato un olio di semi (subito ritirato dal commercio) ed una birra, ma indagini della Camera di Commercio di Torino hanno evidenziato presenze superiori
allo 0,9% anche in alcuni prodotti non etichettati.
CHI VENDE, IN EUROPA GLI ORGANISMI TRANSGENICI?
Le ditte autorizzate dalla Commissione Europea a commercializzazione e produrre a scopo di vendita diversi prodotti transgenici, tra cui quelli alimentari, sul territorio dell’Unione sono 19:
AgrEvo (sede principale: Berlino , Germania)
Agrigenetics, Inc. d/b/a Mycogen Seeds c/o
DowAgroSciences LLC (Stati Uniti - Indianapolis)
Amylogene HB (Svezia, Svalov)
Bayer CropScience - Gruppo Bayer (Germania, Monheim),
Ciba-Geigy (sede principale: Svizzera, Basilea)
Danisco Seed (Danimarca, Holeby)
DLF-Trifolium (Danimarca, Store Heddinge)
Dow AgroSciences - Gruppo DOW (sede principale: Stati
Uniti)
F. Hoffmann - La Roche (Svizzera, Basilea)
Florigene (Collingwood, Australia)
Hoechst - gruppo Sanofi Aventis (sede principale
Germania, Francoforte)
KWS SAAT AG, (Germania, Einbeck)
Monsanto (sede principale: Stati Uniti, St. Louis)
Mycogen Corporation - gruppo DOW (Stati Uniti - S. Diego);
Novartis (sede principale: Svizzera, Basilea)
Pioneer Hi-Bred International, Inc. - gruppo Du Pont (sede principale: Stati Uniti, Des Moines);
Plant Genetic Systems (Belgio, Gent)
Stoneville Pedigree Seed Company (Stati Uniti, Memphis)
Syngenta Seeds SAS (Svizzera, Basilea)

I rischi degli OT
Data la complessità dei sistemi biologici, introducendo nell’ambiente organismi con caratteri genetici che provengono da altre specie e che non sono stati verificati dai meccanismi della selezione naturale, non siamo in grado di prevedere quali conseguenze potranno verificarsi.
Ad esempio, in ogni momento è possibile che una pianta modificata si incroci per caso con piante coltivate o spontanee dello stesso tipo e diffonda un carattere che potrebbe avere gravi conseguenze per la biodiversità, sia naturale che agricola, che rappresenta la vera ricchezza ambientale, dato che, grazie alla diversità genetica, ogni popolazione può avere sempre qualche
individuo in grado di adattarsi a variazioni dell’ambiente e al diffondersi di epidemie. Ad esempio la diffusione di una resistenza a un particolare parassita potrà far sì che questa pianta si trovi senza più controllo e diventi infestante, mentre una pianta divenuta, grazie ad una tossina, resistente ad un insetto favorirà la selezione degli insetti resistenti a tale tossina, vanificando tale
modificazione genetica e aumentando la pericolosità degli insetti patogeni.
PRODUZIONI LOCALI
Rifornirsi di alimenti da produttori locali, singoli o associati, meglio se bio, permette di inimizzare l’impatto da trasporto delle derrate da altre aree del Paese o addirittura da Paesi stranieri.
CIBI BIOLOGICI
Consumare cibi biologici contribuisce allo sviluppo sostenibile poiché, a parte gli indubbi vantaggi per la salute legati al consumo di alimenti privi di additivi e residui chimici e più ricchi in micro-nutrienti, l’agricoltura bio utilizza pratiche agro-zootecniche che preservano l’ambiente, salvaguardano la biodiversità, mantengono la struttura biologica del suolo senza impoverirlo, minimizzano i dispendi energetici e la produzione di rifiuti. Inoltre i cibi bio sono
garantiti rispetto alla assenza di OGM.

A risentirci alla prossima puntata quando comincieremo a parlare di Energia

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